Sono Giada e da maggio collaboro con l’Orma per il progetto “Coach di Quartiere”. In questi mesi ho girato tra i parchi, conosciuto alcuni dei coach coinvolti su Milano, Dalmine e Lodi e ho avviato un percorso formativo con i playmaker.
Il primo aspetto che mi ha colpito del progetto è stato il puntare sul coinvolgimento dei giovani per proporre le attività nei parchi. Oggi il mondo adulto difficilmente vede i ragazzi come una risorsa. Si pensa spesso a loro come a svogliati, irresponsabili, senza futuro.
“Coach di Quartiere” li rende protagonisti, ma questo non è sempre facile e non è sempre facile mantenere nel tempo i ragazzi come volontari di progetto. Molti dei coach arrivano a questa esperienza tramite il volontariato scolastico, altri tramite l’alternanza scuola lavoro. Altri ancora, in minoranza, perché già cittadini attivi sul loro territorio: volontari di altre associazioni, scout, animatori… La vera sfida per noi educatori è – da un lato – fare in modo che si appassionino al progetto, che credano in quello che fanno così intensamente da voler continuare l’esperienza, andando oltre l’obiettivo del riconoscimento di crediti formativi ai fini della maturità, e- dall’altro – portare il recruiting anche fuori dai contesti scolatici.
La domanda che ci siamo fatti più e più volte, con Claudio Massa e i playmaker, è stata: come coinvolgere nuovi volontari? E, una volta arrivati al progetto, come invogliarli a restare?
Ci stiamo ancora sperimentando nel trovare queste risposte, ma la direzione ce la dà la convinzione che si può fare poco per i ragazzi, la sfida è fare con loro.
Quando parlo di “fare con loro” intendo lasciare spazio affinché siano loro a proporre iniziative, a pensare al progetto nel futuro. Per farlo ci vuole però tempo, tempo per costruire una relazione di fiducia con i ragazzi, per renderli consapevoli delle loro capacità, per trasmettere loro che questo è un contesto in cui il loro punto di vista conta.
Altro aspetto su cui vogliamo puntare, e che crediamo possa sostenerli anche nell’agire questo protagonismo, è la creazione di una community, una rete al di là dei gruppi territoriali, di cui sentirsi parte, da cui sentirsi sostenuti.
Permettere ai ragazzi di dire la propria, dove la risposta può anche essere “no, non mi va” e accettarlo.
L’aspetto più difficile quando si lavora con i giovani è mettere da parte le nostre lenti adulte con cui leggiamo e interpretiamo ciò che ci accade e lasciare spazio al fatto che loro ci sorprendano.
I ragazzi incontrati nei parchi in questi ultimi mesi erano sorridenti, coinvolti dai bambini, attenti alle attività tanto quanto alle relazioni. Hanno moltissime potenzialità, sta a noi capire come valorizzarle e, per farlo, farci guidare da loro stessi nella scoperta del loro punto di vista.
Essere giovani oggi è per necessità differente da quando ho avuto io 16 anni (o probabilmente da quando li hai avuti tu che stai leggendo questo articolo). Questo è il bello del gioco e, dato che ci siamo, giochiamo!